la Bolognese Madonna di san Luca - Vergine Odighitria
Un immaginario viaggio verso il Monte della Guardia
In una bella mattina di maggio, serena e tersa, muovono lentamente due carri trainati da coppie di buoi. Escono dalla città e si avviano verso il Monte della Guardia. Più tardi anche il vescovo di Bologna con il seguito e i canonici renani raggiungerà il luogo convenuto, e lì avverrà la cerimonia tanto desiderata da Angelica.
La giovane siede sul primo carro assieme ai genitori e ad alcuni familiari. Sul secondo carro un gruppo di amiche di Angelica, ancora incerte sul loro futuro, ma desiderose di capire meglio il progetto che Angelica sta perseguendo da tempo.
La distanza tra la loro casa, entro le mura, e il Monte si percorre in un paio d’ore, ma i carri procedono lentamente e più avanti bisognerà che almeno i più giovani scendano dai carri per aiutare gli animali ad affrontare la salita.
Angelica pensa di ricongiungersi alle amiche e confidarsi con loro. Quanti dubbi ora che la meta è a portata di mano. Su, sul Monte, gli operai lavorano da giorni alla costruzione di un edificio destinato a ospitare Angelica e quante, tra le amiche, vorranno rimanere. Oggi il vescovo porrà la prima pietra dell’oratorio che sarà presto eretto. Un luogo di preghiera per le donne che abiteranno l’eremo e per quanti vorranno sostare per un momento o per la vita.
Circa a metà mattina il gruppo appiedato affronta le ultime salite, e si scorge ormai vicino il Monte che domina le valli circostanti. Il sole lo illumina per la maggior parte e ne sottolinea il profilo pulito, di campo coltivato che contrasta piacevolmente con le frasche del rado bosco nel quale si apre il sentiero tracciato qualche tempo prima per raggiungere e lavorare uno dei poderi della famiglia.
Una terra che è in parte coltivata a vigna e per il resto lasciata a pascolo. Il pascolo è illuminato dal sole e coperto da milioni di pratoline che ondeggiano leggere mosse da una tenera brezza che ne asciuga la rugiada. La vigna, ancora in ombra, conserva l’umidità della notte. Le giovani viti, appena rifiorite alla vita, custodiscono nei loro incavi gocce di rugiada simili a preziose perle. Anche l’erba, in quest’area che il sole non ha ancora carezzato, mantiene la sua umidità. Angelica ha un brivido quando i piedi nudi entro gli zoccoli di legno si immergono nella soffice, ma umida erbetta. Per il grande giorno la ragazza ha indossato l’abito della penitenza, quello che forse diverrà l’abito dell’eremo, se mai ci sarà un eremo e soprattutto se sarà abitato da persone che vorranno condividere con lei una vita di preghiera e ascolto.
In quel lontano 25 maggio del 1194 il Creatore in persona sembra abitare il Monte. Il cielo è di un azzurro intenso e l’occhio spazia da un lato per le valli frondose fino ai boschi sempre più fitti degli Appennini, coronati dalle cime ancora innevate dei monti più alti e più lontani. Un bianco ghiaccio che funge da contrappunto e unione tra il verde intenso dei boschi e il luminosissimo cielo.
Dall’altro lato la pianura e al centro Bologna cinta dalle giovani mura e soprattutto protetta da una miriade di torri. Fuori dalle mura la strada che ha percorso Angelica, visibile per un tratto, fiancheggiata dai campi coltivati con le messi al momento verdi, ma adulte in attesa di un altro mese di sole per essere raccolte e dare quanto sembrano promettere.
Allontanandosi dalla città, man mano che la pianura lascia il posto alla collina, la natura sembra avere la meglio sull’operosità dell’uomo e il bosco e la frasca sostituiscono i campi coltivati. Anche il bosco è una ricchezza per l’uomo. Riserva di caccia, legna e piante officinali poi purificate dai monaci in città, utilissime soprattutto nei mesi invernali. I monaci di Santo Stefano sono tra i più esperti e custodiscono nel monastero preziosi quanto antichi ricettari.
La loro fama è ulteriormente cresciuta dopo il ritrovamento del corpo di san Petronio sepolto nel loro monastero. È stato necessario riordinare le notizie sul santo e nello stesso monastero, circa dieci anni prima, i monaci hanno elaborato una leggenda in lingua latina per soddisfare le nuove esigenze del culto. Crescendo la devozione e le visite alla tomba del santo, anche l’officina del monastero ha dovuto aumentare la produzione di erbe e unguenti tanto per i bolognesi che per i forestieri che si fermano a venerare il corpo del vescovo bolognese.
Sembra che la devozione sia destinata a crescere molto, ma non è ancora così evidente nel maggio del 1194 quando Angelica, sul Monte della Guardia, attende trepidante l’arrivo del vescovo per iniziare la sua avventura spirituale affidandola nelle mani del successore del riscoperto Petronio.
Ho provato a introdurre in forma narrativa la figura di Angelica, iniziatrice del culto cristiano sul Monte della Guardia. Donna bolognese del tutto reale la cui personalità possiamo ricostruire solo tramite le dispute sorte con i canonici renani da lei scelti per la direzione spirituale dell’eremo. Dalla lettura degli atti scritti per verbalizzare la disputa economica non emerge la spiritualità di questa donna che fa una scelta di vita radicale. Una radicalità che non costituisce in assoluto un’eccezione, che la Chiesa prova a controllare rendendosi conto che lo Spirito sta soffiando su una generazione di laici e religiosi che mirano a grandi ideali.
Scisso da questo avvenimento – ma chi può dire fino a che punto – in quel lontano 25 maggio del 1194, in Assisi un ragazzo dodicenne imparava il mestiere di mercante e nutriva grandi ideali cavallereschi. Nella stessa città era appena nata una bella bambina di nobile casato. Accudita da schiere di fantesche e vezzeggiata dalla madre e dai parenti tutti. Per entrambi le rispettive famiglie immaginavano grandi cose e soprattutto una gloria il più possibile grande in questo mondo.
Su questi bambini ha posato lo sguardo il Signore e anche lui ha pensato a grandi cose per loro, anche se l’ordine di grandezza è certamente diverso. I due bambini si chiamavano Francesco e Chiara. Angelica muove i primi passi del suo misterioso cammino spirituale – misterioso per noi che non possiamo carpirne i segreti – mentre Chiara nasceva e Francesco cresceva educandosi al commercio. Saranno loro a segnare la svolta epocale e a rendere concrete le molte esigenze di rinnovamento che persone ben più modeste, ma altrettanto autentiche, forse come Angelica, testimoniavano da tempo.
La prima chiesa e la sua committente.
Angelica, una donna bolognese di buona famiglia, ha chiesto al pontefice di poter edificare un luogo di culto su questo Monte. È il 1193 e papa Celestino III, su manifesta richiesta di mulier Angelica, ha inviato al vescovo di Bologna la prima pietra del nuovo edificio perché provveda, su suo mandato, a porla sul Monte della Guardia dando così inizio ai lavori di costruzione dell’oratorio . Mesi dopo, il 25 maggio del 1194, il vescovo di Bologna Gerardo Gisla interra la prima pietra sul Monte della Guardia. Sarà stata presente Angelica, la famiglia, forse le prime compagne con le quali Angelica comincia questo suo itinerario di fede, che per noi rimane inaccessibile. In una giornata di maggio inizia questa avventura cristiana che tanta importanza ha tutt’ora per i bolognesi che proprio in maggio festeggiano la Madonna di San Luca con la discesa dal Monte in città della venerata icona. Dalla bolla del 2 luglio 1228 indirizzata a Pietro, priore della chiesa di Santa Maria del Monte della Guardia, sappiamo che la chiesa è intitolata alla Madonna. Ancora più interessante è la descrizione di un sigillo del Capitolo della chiesa del Monte, sempre del 1228, nel quale vi è l’immagine di Maria con il Figlio. Un sigillo che richiama, per la prima volta, la nostra icona. segue ..
Torniamo però al maggio del 1194 e proviamo ad accostarci ad Angelica e alla sua famiglia per evidenziare una vocazione rimasta celata dagli stessi documenti, tutti incentrati su una lunga disputa con i canonici di Santa Maria di Reno per l’amministrazione dei beni legati al monastero.
I canonici erano stati coinvolti in questa esperienza di vita dalla stessa Angelica per l’assistenza spirituale della nascente comunità eremitica sul Monte della Guardia. Non era del tutto inusuale assistere alla nascita di eremi retti da eremite “irregolari”, cioè non collegate a una delle regole di vita religiosa riconosciute. Più che una contestazione dell’esistente, c’è il desiderio del tutto personale di vivere una ricca esperienza di fede fuori da schemi costituiti, che in alcuni casi diventa innovativa e dirompente, ma che il più delle volte va avanti serenamente con l’assistenza di chierici che vigilano sulla vita spirituale dell’eremo. Sono anni fervorosi che non sempre emergono nella loro quotidianità e diffusione anche perché oscurati da altre analoghe esperienze di vita che stanno per nascere. Non dimentichiamo infatti che gli stessi pontefici che dovranno occuparsi delle dispute sorte tra Angelica e i canonici renani, da Onorio III a Gregorio IX, debbono governare il fenomeno ben altrimenti complesso di Francesco d’Assisi e Chiara. Altri giovani – a dire il vero non conosciamo l’età di Angelica, ma visto che muore intorno al 1244, non doveva certo aver superato di molto i vent’anni quando fece la sua scelta di vita eremitica – e altre scelte di vita radicali. Tra le similitudini, l’appartenenza a famiglie benestanti e nel caso di Chiara tra i maggiorenti di Assisi. Angelica però si trova accanto la famiglia nella sua scelta di vita che sarà invece ostacolata violentemente dal padre di Francesco e dalla famiglia di Chiara, anche se infine la madre e le sorelle di quest’ultima vivranno con lei la stessa radicalità evangelica in San Damiano.
Anche la vocazione di Angelica è radicale, ma equilibrata per quanto può esserlo una scelta così particolare. Il luogo in cui insediarsi non è troppo lontano dalla città, né è selvoso e inospitale come siamo abituati a leggere nelle leggende dei santi. Del resto per Angelica – per cui nessuno ha ricercato una possibile santità – le informazioni non le ricaviamo da amici che scrivono appassionate biografie, ma da documenti notarili e da dispute giuridiche per il possesso delle terre dell’eremo. Dati freddi, ma anche obiettivi, attraverso i quali possiamo ricostruire uno spaccato di vita senza purtroppo poter carpire le motivazioni più profonde di Angelica. Dai documenti si delinea però una famiglia unita che condivide e aiuta la scelta della figlia.
La donna agisce in sintonia con i genitori e soprattutto con la madre Bologna, che evidentemente condivide l’ideale di vita che si delinea e che sarà stato a lungo discusso a casa e con l’assistenza degli stessi canonici scelti come guida spirituale e custodi del patrimonio materiale. Il seguito della storia vedrà contrapposta la ricerca di autonomia e di indipendenza di Angelica nella gestione del patrimonio, ma anche nel modello di vita eremitica, e gli interessi dei canonici che vedono intaccata una possibile forma di utile per il lavoro che svolgono. È una storia che fa sparire l’ideale di vita eremitica di Angelica che verrà sempre difesa dai pontefici ai quali si rivolge più volte e anche direttamente. È anche questo il segno di un’autonomia al femminile alle volte contrastata dall’autorità costituita che, però, nel caso di Angelica ne affianca l’azione e difende gli ideali.
Non possiamo penetrare più a fondo questa esperienza di fede, e se continuassimo nella lettura del lungo carteggio che vede i contrapposti interessi dei canonici e di Angelica, perderemmo del tutto il senso della ricerca di spiritualità che certamente ha animato Angelica e la sua famiglia. Ci fermiamo qui evidenziando che sul Monte della Guardia, sul finire del XII secolo, nasce un luogo di culto per volontà di Angelica, una laica bolognese, e della sua famiglia. Un luogo dedicato alla Madre di Dio che fin dal 1228 – ma evidentemente anche prima – era raffigurata anche sul sigillo dell’eremo come una Madre con in braccio il Bambino.
La prolungata osservazione dell’icona della Madonna del Monte di Bologna, durante una manutenzione straordinaria effettuata nel maggio del 2011, ha confermato un’impressione nota e sperimentata da quanti si avvicinano all’immagine salendo dalla scalinata che da destra immette all’altare della Theotokos, percorrono lo spazio davanti all’immagine e scendono dal lato opposto. Molti si sentono guardati costantemente dalla Madre di Dio che comunemente è celata da un pannello in argento e mostra soltanto il proprio volto e quello del Figlio. L’effetto, lungi dall’essere una suggestione, è invece probabilmente voluto e causato dal leggero strabismo delle sue pupille, ben osservabile da vicino. Allo stesso modo la tempera a uovo offre una particolare rifrazione alla luce, animando l’icona e rendendola sempre nuova perché interagisce con fenomeni naturali come il variare della luce e soprattutto con la disponibilità umana di quanti vi si accostano. Non siamo infatti in un museo e le aspettative e le attenzioni di quanti salgono la scalinata che porta all’icona prescindono da considerazioni stilistiche e culturali e affondano nelle istanze misteriose, ma non meno reali, della fede espressa attraverso la devozione.