Le origini
All'origine della nostra storia, in Italia, - origine perché sono le testimonianze pervenute, non perché siano le prime in assoluto - sono state poste dalla Vavalà due croci dipinte, l'una, conservata a Sarzana, datata 1138 (fig. 3) e dovuta maestro Guglielmo. L'altra, più tarda, conservata a Spoleto, eseguita da Alberto Sozio, e datata 1187 (fig. 4). La cronologia della studiosa non è stata ancora integrata da altri più antichi e certi ritrovamenti.
Entrambe le opere presentano modelli molto complessi che è difficile pensare quali prime realizzazioni di una tipologia figurativa su tavola. Il Cristo crocifisso è inserito in uno schema narrativo così che l'evento finale, incruento nella forma, con un Cristo ancora regale, è preparato dalla "storia" della passione, dalla gloria degli angeli, da altri episodi legati alla passione e alla vita terrena del Cristo ivi compresa, alle volte, la "crocifissione", rendendo così evidente che l'icona del Cristo in croce è cosa diversa dalla narrazione della "crocifissione" .
La croce di Maestro Guglielmo è a sua volta il prodotto di un'evoluzione stilistica che probabilmente ha ancora il significativo precedente nel Cristo con il cinturone, scolpito sulla porta di Santa Sabina (ca 430, sec. V) e che troviamo anche su un dittico in avorio del British museum. Il perizoma sembra sostenuto da una cintura che fascia i fianchi del Cristo e pende sul davanti, come sulla porta lignea in santa Sabina. Pur non potendosi supporre "evoluzioni" solo con così pochi modelli, la croce di Alberto Sozio rappresenta un modello innovativo, testimoniato dal perizoma più lavorato e dallo stesso tabellone dove le "storie" della passione sono sostituite dalle più pertinenti immagini di Giovanni e Maria da sempre ai lati della croce. In alto è raffigurato un Cristo in gloria, entro una mandorla rossa, circondato da angeli. In basso è rappresentato un piccolo teschio. Ai fianchi il "cinturone" è stato sostituito dal solo perizoma che, diversamente piegato, stringe il bacino del Cristo.
Probabilmente ci troviamo davanti ad un diverso modello di riferimento rispetto all'opera di Maestro Guglielmo, come mostrano l'azzurro della croce e i bordi bianchi romboidali che ne delimitano i bracci e annunciano una dinamica centro italiana che si svilupperà nel secolo successivo.
Non possiamo ricostruire l'origine di questo tipo di croce, che potrebbe essere molto più antico rispetto agli esempi esaminati. Non dobbiamo dimenticare infatti il particolare momento storico e la consolidata tradizione nella trasmissione dei modelli figurativi e dello spazio architettonico. Basti pensare, per capirci, che il modello di altare dal quale Melchisedec celebra il suo sacrificio a Ravenna, nella Chiesa di San Vitale, sembra avere le stesse dimensioni degli altari dipinti dallo Pseudo Iacopino, ben dentro il XIV secolo, confrontabili con altri modelli dipinti e con qualche sopravvissuto esemplare di altare . Né sappiamo quando la croce dipinta su tavola, come oggetto a se stante e non legata a cicli affrescati o a mosaici, viene accettata nelle Chiese italiane.
Con il XII secolo le croci dipinte trovano un'articolata diffusione, ma il dibattito, in questi anni, è ancora vivo e in evoluzione. E' testimoniato l'uso di esporre sull'altare una croce senza immagine mentre cresce una nuova sensibilità che pensa di rinnovare questo modello.