la XIV stazione del Rosario - l'Assunta Iacopo Alessandro Calvi. 1766 - belle arti

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la XIV stazione del Rosario - l'Assunta Iacopo Alessandro Calvi. 1766

Non resta che accostarsi alla pittura di Alessandro Calvi e ammirare, con le parole del salmista colei che : “avanza come aurora che sorge, bella come la luna, fulgida come il sole”. Una bellezza fisica in gran parte svanita, consumata dal vento e dalla pioggia, dal gelo e dal caldo che ha contrapposto la fisica potenza degli elementi alla forza incorruttibile dei concetti che solo si specchiano nell’immagine, ma sono custoditi dalla sapienza della Chiesa e dai cuori degli uomini.
Concetti che possiamo rivivere anche attraverso l’immagine che il restauro prova a restituire nella sua leggibilità che niente ha a che vedere con l’armonico sviluppo della pittura originaria i cui passaggi chiaroscurali abbiamo perduto per sempre, e che tuttavia sono testimoniati da quelli che oggi appaiono quasi come macchie e che sono il segno di tinte cangianti come luce che si infrange su seta. Questo è il valore da dare allo sfumato della tunica della Vergine che nei punti che più si offrono alla luce, sembrano oggi solo macchie.

Un primo riferimento culturale per Iacopo Alessandro Calvi
Il pittore, Iacopo Alessandro Calvi, detto il sordino, perché affetto fin da giovane da sordità, è qui alle prese con una delle sue prime prove di pittura pubblica. Nella bolognese “Accademia Clementina” era entrato nel 1750 ed era stato più volte premiato per il suo valore. Nel 1766 questa commissione, obbligata nel tema, nella quale il pittore mostra ancora la sua titubanza tra l’equilibrio classico che contraddistinguerà la sua pittura e memorie storiche che affondano fino all’ultimo 500. Sullo sfondo culturale uno dei modelli di Guido Reni per l’Assunta, riproposto a Castelfranco Emilia, a Perugia nella cappella dell’Assunta della chiesa degli oratoriani (oggi al museo di Lione); a Spilamberto per la confraternita di Santa Maria degli Angeli (oggi alla Pinacoteca di Monaco). Maria ascende al cielo circondata o sorretta da angeli, ha le mani aperte, diversamente inclinate. Campeggia nello spazio celeste occupandolo interamente senza necessità di figure riempitive se non qualche angelo ai suoi piedi. Solo leggermente più mossa l’opera oggi a Lione.
Rielaborazione "classicheggiante" dell'opera di un principe dell'Accademia bolognese
È evidente comunque che i modelli del venerato vate della pittura bolognese sono solo un ricordo inverato, per il giovane Jacopo (un altro Jacopino bolognese?), dall’opera della quale si continua a parlare dovuta al magico pennello di uno dei principi dell’Accademia bolognese: Carlo Cignani. Si tratta della cupola della Cattedrale di Forlì licenziata solo nel 1706.
Quell’immagine mariana che si piegava seguendo l’andamento curvilineo della cupola è un ricordo vivo, magari studiato, per la nostra immagine rielaborata secondo altri schemi e un ordine compositivo ove sempre meno è lo spazio per il turbinio di figure e movenze incontrollate. Ricorda quella Vergine il suo porsi in tralice sorretta da angeli che, nella nostra opera, sono solo diligenti cerimonieri e sul fondo, gli altri, sia pure deturpati dal pessimo stato conservativo, cercano altri equilibri. Non si accalcano in un moto continuo ancora memori di ritmi barocchi alla Giaquinto, ma dialogano compostamente seduti su soffici nuvole vivendo da spettatori consapevoli l’arrivo della Vergine, con lo stesso composto decoro con cui si partecipa ad una processione. Né si fanno mancare i segni riconoscibili di una conclamata devozione mariana. Il primo angelo a destra guardando il dipinto, con un atteggiamento a mezzo tra preghiera e forbito dialogo con il suo vicino di nuvola, non manca di mostrare, a scanso di equivoci, una corona del rosario impugnata con entrambe le mani. Più un mostrare che pregare.

Un angelo tra cielo e terra
Ma la ricerca di un equilibrio formale, ancora imperfetto nel giovane Jacopo Alessandro Calvi, è scossa dall’angelo che con virtuosismo prospettico taglia trasversalmente lo spazio, fora il dipinto ricercando una tridimensionalità e separando e unendo al contempo cielo e terra. È l’angelo che in controparte sorregge con un moto analogo la Vergine di Cignani a Forlì. Una figura di straordinaria qualità che oggi non riusciamo a percepire a causa della irreversibile situazione conservativa. Possiamo solo ragionevolmente immaginare questo volo in profondità con in primo piano i mobilissimi piedi che fendono l’aria con lo stesso impeto ed armonia con cui un provetto nuotatore taglia le onde. Un moto sottolineato dalle vesti che ne seguono l’impeto mosse dal vento, anch’esse cangianti alla luce, drappeggiate armonicamente sul corpo. Un moto perduto, un equilibrio cromatico infrantosi davanti alle ingiurie del tempo che possiamo comunque recuperare leggendo tra i colori e cogliendo quelle verità che spesso, anche lo scrittore, nasconde tra le righe.
Il sepolcro vuoto
Il movimento piramidale si genera da questa figura si eleva fino al volto di Maria e ridiscende alla figura attraverso il mantello della Vergine che morbidamente ricade sulle gambe dell’angelo. Il cielo accoglie la Vergine nel momento in cui sei degli apostoli, in basso a destra, si interrogano sul sepolcro vuoto e profumato come testimoniano quelle rose nelle mani di uno di essi, oggi quasi invisibili. Stanno sollevando il lenzuolo e non si avvedono del miracolo che sta accadendo. La sfera terrestre e celeste sono separate, quasi ermeticamente chiuse. L’equilibrio compositivo che ritroviamo nei sei apostoli, i loro atteggiamenti perfettamente bilanciati, esprimono al meglio le caratteristiche del nostro pittore e annunciano l’atra sua pittura che sta per venire. Lungo tutta la fascia sinistra del dipinto, delimitata sulla destra da quella che probabilmente è una roccia che funge da sfondo al sepolcro, una città con i suoi palazzi e chiese monumentali, si staglia contro un aurora o tramonto (chi potrà ormai dirlo) osservata al naturale, non contaminata dall’altra luce, quella dell’altro cielo, schermata ai mortali dalle spesse nuvole in basso corpose, e forse scure, per diradarsi man mano che si raggiungono le vette terse del paradiso di sola luce dorata.
Il credente riprende il suo pellegrinaggio di perfezione e si accosta all’ultimo dei misteri gloriosi: l’Incoronazione della Vergine che occupa l’edicola successiva. Ancora una sosta prima di affrontare l’ultima scalinata che porta finalmente a Maria, madre di Dio.

 
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