La rivoluzione figurativa che aveva visto protagonisti indiscussi Giunta Pisano e Cimabue, e che in Pinacoteca è documentata dalle opere del “Maestro dei Crocefissi francescani” è cancellata quasi improvvisamente quando a Firenze, nella chiesa di Santa Maria Novella, ancora nell’ultimo decennio del XIII secolo, Giotto pone sulla croce un uomo vero.
Lasciamo la parola all’insuperata analisi di Roberto Salvini: “Egli traduce in peso corporeo e in trazione verso il basso quella stessa carica dinamica che moveva il Cristo di Cimabue in una curva iperbolica. Nella figura di Giotto, si concentra e si chiude dentro la tormentata immagine quel tragico grido che dal Cristo di Cimabue pare invece propagarsi all’universo” (Roberto Salvini, Giotto a Rimini, p. 97 in: Giotto e il suo tempo. Atti del Congresso Internazionale per la celebrazione del VII centenario della nascita di Giotto. 24 settembre – 1 ottobre 1967. De Luca Editore 197). “In nessun’altra opera di Giotto” – rincalza cesare Gnudi – “ traspare questa misura superumana, questo senso di massa enorme, incombente, e l’eco della cupa tragedia di Cimabue, che sembra giungere, ancora chiaramente identificabile, da un mondo ormai lontano”