riscontri con Assisi - San Colombano - la Crocifissione

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riscontri con Assisi

la composizione

Nella Basilica Superiore, nel 1258, è citata in un documento, la vetrata che raffigura l'episodio delle stimmate, attribuita, unanimemente  allo stesso maestro di san Francesco che esegue il ciclo della navata nella chiesa inferiore . È più facile immaginare che la vetrata segua e ripeta quanto in grande e con riflettuta consapevolezza si è andato elaborando nella navata della chiesa inferiore. Ne consegue che, almeno al 1258, il ciclo doveva già essere stato dipinto. Qui del resto i rimandi di stile alla cultura di Giunta, quale appare nelle storie che fiancheggiano il polittico oggi al San Matteo di Pisa, soprattutto in alcune rappresentazioni, diventano puntuali. Mi riferisco in particolar modo ai panneggi della figura esterna destra della scena con la liberazione dell'indemoniata. Il chierico raffigurato sul lato destro, porta le mani al volto causando con questo gesto il ripiegamento dell'ampia casula sui gomiti (fig. 15). A ben vedere il mosso e ampio panneggio è impostato in maniera analoga nelle figure di profilo che occupano la scena del Cristo che depone le vesti nel ciclo francescano di Assisi (fig. 16). In entrambe le rappresentazioni inoltre, il movimento dei panneggi della sopraveste è bilanciato dall'analogo appiombo della tunica . La compresenza, nel ciclo di Assisi, di elementi innovativi e prospetticamente avanzati con altre scene in cui prevale uno spazio bidimensionale, depongono per una data precoce in cui i diversi stimoli possono convivere e giustificarsi a vicenda. Né è rapportabile ad un maestro tardo anche perché le invenzioni sono di assoluta qualità e l'impostazione delle scene, in alcuni casi, del tutto innovative. Il maestro di san Francesco si rivela, in questo ciclo, un eccellente maestro, debitore negli schemi figurati anche a Giunta del quale, probabilmente, stentiamo a riconoscere l'ideale presenza perché conosciamo del maestro solo le rappresentazioni quasi miniaturizzate sulle tavole che raffigurano San Francesco e storie della sua vita e che gli sono state di volta in volta attribuite. Una datazione più vicina agli anni 50 che 60 trova ulteriore giustificazione nel  documento redatto nel capitolo di Naborne del 1260 nel quale si condannano le chiese francescane decorate con particolare sontuosità . Se non è stata semplice accademia - e perché avrebbe dovuto esserlo - quel capitolo poteva aver presente una sola grande chiesa in cui "curiositas et superfluitas directe obvient paupertati" a causa dei suoi decori: Assisi. In Assisi il ciclo della navata inferiore, reso ancor più prezioso dai sontuosi arredi già esistenti a cominciare dal prezioso reliquiario donato da Gregorio IX . Pitture certo molto più brillanti e ricche di decori di quanto vediamo oggi, dopo i maltrattamenti ricevuti dal tempo e dai successivi lavori in Basilica.
E potrebbe essere che da quelle disposizioni, poi ribadite in altre occasioni, ma sempre meno sentite nella pratica, si sia imposta una riflessione che ha portato a circa un decennio di stasi nella stessa Assisi, fino a quando questo primo gruppo di maestranze non sarà sostituito da una nuova generazione di maestri coordinati dal giovane Cimabue.

E se le pitture fossero già state realizzate quando Innocenzo IV consacra e benedice gli altari della basilica inferiore, nel 1253? Un altro indizio porta a valutare con attenzione questa possibilità. Chiara Frugoni pone l'attenzione su un miracolo riportato dalla legenda maior di san Bonaventura del quale fu spettatore e co-protagonista il vescovo di Ostia, poi divenuto papa con il nome di Alessandro IV che predicava gli esercizi alla curia romana nella basilica di san Francesco . Una lastra pesante cadde dal pulpito che era alto e in pietra e colpì una donna alla testa. Malgrado avesse la testa fracassata, la donna, votatasi a Francesco, si rialzò indenne. Rinaldo dei Conti di Segni fu nominato vescovo di Ostia nel 1234 (era ancora papa Gregorio IX) e pontefice nel 1254. L'episodio si colloca dunque nello spazio di questi venti anni e fa presupporre la chiesa già officiata e in grado di ricevere un numero ragguardevole di persone. Chiara Frugoni avanza l'ipotesi che al tempo la chiesa fosse già decorata. La presenza nel ciclo dipinto dell'episodio del sogno di Papa Innocenzo III, incluso nella seconda vita di Tommaso da Celano, già conclusa intorno al 1253, la porta a datare il ciclo intorno a questi anni . Praticamente prima del 1254 quando al soglio di Pietro salirà il Vescovo di Ostia che predicava in Basilica. Proprio la narrazione del miracolo, del resto, porta ad immaginare una Chiesa nella quale fervevano i lavori e che era contemporaneamente officiata. È la stessa lastra che si distacca dal pulpito in pietra che fa pensare a lavori ancora in corso che, in assenza di leggi sulla sicurezza nei cantieri, potevano comportare la contemporanea presenza di lavori e manifestazioni liturgiche con conseguenti incidenti come quello descritto. Certo è sempre più strano che questa chiesa con un pulpito in pietra, oggetto di affluenza continua da parte di pellegrini, luogo di incontri per ritiri spirituali della casa pontificia, si presentasse nuda nelle pareti. La datazione ipotizzata del resto, è ben giustificata dalle pitture che presenta la novità del Cristo con il ventre bipartito contemporaneamente elaborata da Giunta nella sua croce per san Ranierino che è innovativa rispetto alle altre due croci del Maestro e alla stessa crocifissione affrescata a Bologna. Si ha la percezione che il modello stia per essere sperimentato proprio in questi anni nel vasto cantiere di Assisi che vede all'opera questo grande e anonimo pittore che alla metà del secolo è chiamato a elaborare il primo organico ciclo decorativo della Basilica Francescana ove non  è poi così strano immaginare una ideale presenza di Giunta che nella stessa Basilica aveva operato nella prima stagione decorativa, come documenta Padre Francesco Maria Angeli  e come testimonia la perduta croce con frate Elia, datata 1236. Sono dati che dovranno presto portare a riconsiderare una possibile prima stagione decorativa per la chiesa di Assisi, ipotizzata introducendo questo lavoro, che ruota attorno alla croce del 1236 e che probabilmente vede la compresenza di più maestranze in questo straordinario luogo di culto e cantiere, in divenire sia dal punto di vista iconografico che stilistico.
Abbiamo accennato al complesso ciclo decorativo della basilica, già post Giunta, ma che in Giunta ritrova l'ideale antefatto culturale e artistico, e probabilmente anche il maestro di riferimento, perché nella crocifissione del ciclo di Assisi cogliamo un puntuale riferimento con la crocifissione bolognese.

La raffigurazione di Assisi è conosciuta come "Cristo che affida a Giovanni la Madre"  per via della lettura dell'epigrafe tracciata sulla parete sopra le figure (fig. 17). La scena è incastonata tra Cristo che si spoglia delle vesti per salire sulla croce e la deposizione. È evidente che la raffigurazione che esaminiamo rappresenta la crocifissione e in essa è dato rilievo al momento dell'affido della Madre a Giovanni. La scena è una delle quattro che Serena Romano, provando a identificare i vari operatori impegnati nell'esecuzione del ciclo, giudica del Maestro di San Francesco . Un artista che, stando all'ipotesi avanzata dalla studiosa, palesa di conoscere l'ultima fase di Giunta, legata al crocifisso di san Ranierino. Il confronto che poteva essere portato avanti solo sulle croci di Giunta, presentava non poche difficoltà davanti all'articolato svolgimento del complesso ciclo narrativo di Assisi. Il vasto frammento superstite della crocifissione di Assisi, in pratica il lato sinistro della raffigurazione, mostra il pianto delle pie donne sotto la croce e l'affido di Maria a Giovanni. È una delle scene più belle dell'intero ciclo e può fare da raccordo culturale tra il maestro e Giunta Pisano. La scena si eleva anche rispetto alle altre che Serena Romano giudica autografe del maestro di san Francesco.

I volti delle Marie si distinguono dalla tipica fisionomia del maestro di san Francesco, riconoscibile per i visi dal mento allungato, larghi e piatti. Queste figure si caratterizzano per la guancia  piena e aperta, sottolineata e accompagnata dall'arcata sopracciliare quasi ad angolo retto con la cannula nasale dal profilo greco, molto evoluto rispetto alle fisionomie dei dolenti sulle croci di Giunta, eppure ad esso debitore nell'arcata sopraccigliare (fig. 18). Un artista che muove da Giunta, che compone la scena misurando lo spazio con scienza prospettica giocata sul doppio riscontro delle tre Marie che accentuano la profondità e dalla nuovissima visione prospettica di Giovanni che sostiene la mano della Madonna con una vista frontale accentuata dal cono prospettico dell'avambraccio. Il colore poi, nei pochi frammenti ove ancora è possibile apprezzare quella che doveva essere una ricca gamma cromatica, è squillante nel  rosso delle vesti lumeggiate di tratti bianchi. Ben altrimenti rilevati se contrapposti alle pieghe della sopraveste di Giovanni, della quale oggi si conserva solo il disegno, e della veste di Maria, anch'essa ridotta al solo disegno. Ricchezze cromatiche, vive e squillanti, come appaiono i colori nel ritrovato lacerto bolognese, al quale rimanda anche il frammento di perizoma del Cristo e la più esterna delle Marie.
Quest'ultima figura, con soluzione compositiva simile all'affresco bolognese, sopravanza la cornice che delimita la scena (figg. 10 - 19).  La mano poggia alla guancia con analoga prospettiva che consente di vedere il palmo. Le analogie con il nostro affresco trovano ulteriori riscontri nel "Cristo che si spoglia delle vesti", la cui croce, in alto, fora il complesso apparato decorativo proprio come nella nostra crocifissione i bracci laterali sono posati sopra la cornice. Sono "invenzioni" iconografiche di grande spessore e testimoniano ulteriormente la qualità della ritrovata pittura bolognese che attribuiamo a Giunta, e che rappresenta un riferimento per il maestro di san Francesco. Un modello almeno per noi, perché il maestro di san Francesco avrebbe potuto apprezzare analoghe soluzioni che Giunta potrebbe aver già sperimentato in un perduto cantiere di Assisi, ben presente ai maestri che si cimentano nell'innovativo ciclo francescano. L'opera bolognese pertanto potrebbe essere un indiretto testimone del lavoro che il maestro pisano esegue ad Assisi nell'ambito di una prima decorazione della chiesa francescana. Un ruolo di coordinamento che fa immaginare un'organizzata bottega nella quale il maestro opera in prima persona e affida molti dei lavori ad una squadra di allievi tra i quali ritroviamo l'anonimo autore della crocifissione del ciclo di Assisi. Il ritrovato vasto frammento in san Colombano e i puntuali riferimenti alla pittura di Giunta, portano a valorizzare la croce in san Domenico. Al di là dei problemi cronologici resta da chiedersi se l'imponente manufatto sia stato il solo a svettare sull'iconostasi della chiesa domenicana o se non facesse parte di un vasto ciclo figurato. Si ripropone lo stesso problema che abbiamo immaginato per la Basilica di Assisi nel decennio 30 - 40 e che potrebbe presentarsi analogo nella chiesa domenicana nel decennio 40- 50. Un percorso solo ipotizzabile che renderebbe comunque più plausibile la presenza di Giunta in san Colombano, una chiesa certamente "minore" rispetto alla grande basilica domenicana.  Solo un'ipotesi, che porta alla memoria un'altra croce, oggi anch'essa solitaria, nel tempio malatestiano di Rimini. In quel caso però sappiamo che la croce costituisce l'elemento centrale di un ciclo affrescato da Giotto per l'allora chiesa Francescana della città. Un'altra traccia, questa volta appena più consistente, per immaginare le grandi croci di Giunta ad Assisi e a Bologna, quali parti, sia pure le più significative, di un progetto decorativo al cui interno spiccavano e concludevano il perduto percorso iconografico e teologico.

 
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