La Benedetta tra le Donne e alcune figure femminili dell'Antico Testamento - simone_incoronazione

Vai ai contenuti

La Benedetta tra le Donne e alcune figure femminili dell'Antico Testamento

prima della pulitura
dopo la pulitura
MARIA MA[TER]
MIRIAM la sorella di Mosè e Aronne.
La scena presenta tre rilevanti figure, questa volta unite dal vincolo della parentela e dalla contemporaneità degli eventi narrati. In un unico spazio. Assisi sopra nuvole spumeggianti, al centro è raffigurato Mosè con in mano le tavole della legge. Alla sua sinistra, in posizione arretrata, un sacerdote identificabile con il fratello Aronne e alla sua destra una figura femminile volta di profilo, lo sguardo levato verso l’alto, quasi disinteressata agli altri due. Credo vada identificata con Miriam la sorella di Mosè.
Maria, la sorella di Mosè e Aronne, profetessa anch’essa, ha un ruolo importante per la vita stessa di Mosè. È la giovane che assiste nascosta al ritrovamento di Mosè da parte della principessa egizia. Suggerisce alla principessa di cercare una donna per allattarlo e lo riporta così alla madre che lo allatterà per tre mesi. In qualche modo dona la vita a Mosè, è artefice della sua salvezza consentendogli non solo di vivere, ma di nutrirsi del latte materno.
Veglia sulla buona riuscita dell’impresa tentata dalla madre (altra coraggiosissima donna che per dare la vita al figlio rischia anche di ucciderlo), vigila nascosta tra i giunchi, interviene al momento opportuno. È Presenza discreta e determinante[1].
La parola essenziale con la quale incontriamo Miriam è essa stessa pregna di valori: La sorella del Bambino si pose ad osservare da lontano che cosa gli sarebbe accaduto con queste parole la Scrittura presenta Miriam che vigila sulle rive del Nilo, silenziosa e attenta agli eventi, pronta nell’intervenire. Cosa che farà al momento opportuno.
              
   
   
   
          
Questi dettagli pongono ancora più in risalto la Fede di Miriam che osserva da lontano quando le sue profezie sembrano svanire e in molti le rinfacciano le sue false predizioni. Lei osserva fiduciosa.
La stessa Fede sembra accompagnare le donne di Galilea e la Madre di Gesù la quale crede alla rivelazione di un grande evento che si realizzerà attraverso di lei e lo vede poi svanire, distrutto dagli eventi storici ove al posto del Regno c’è la croce. Eppure, resta ferma sotto la croce come Miriam che osserva da lontano mentre il fratello sta per essere inghiottito dalle acque del Nilo. Miriam e Maria: senza la prima non ci sarebbe stato Mosè, senza Maria non sarebbe stata possibile l’incarnazione.
La nostra raffigurazione evidenzia una molteplicità di significazioni che portano a capovolgere la preminenza dei ruoli. Obiettivamente Mosè giganteggia al centro della scena e Aronne, voce di Mosè, esercita il suo ministero, rivestito degli abiti sacerdotali. Miriam è apparentemente figura marginale rispetto a Mosè, l’uomo che tiene in mano la legge. Miriam però rappresenta colei che ha saputo guardare da lontano, che è andata oltre la legge e seguendo l’intuizione del suo cuore ha salvato Mosè dalle acque e con questo suo gesto ha reso possibile la salvezza di un popolo. Miriam, nel suo splendido isolamento, sembra disinteressata alla “legge” incisa nella pietra. Vive assorta, guarda lontano, e il suo sguardo incrocia quello dell’Assunta.
Nel nostro affresco è possibile evidenziare quel ruolo che di fatto la scrittura le ha sempre dato e che altrettante volte è stato relegato all’ombra degli eventi che videro protagonisti i due fratelli.


[1] Maria compare altre volte nella Scrittura. Ancora in Esodo (15,20) dopo che il mare si è richiuso sull’esercito del faraone Maria, la profetessa, sorella di Aronne” prese il timpano e assieme alle donne con altri timpani cantarono e danzarono. (ancora un ruolo propositivo. Il ringraziamento, il canto di ringraziamento, scaturisce
da una donna. La prima a ringraziare per il dono della vita.) in Numeri 12 è narrata la
contestazione di Maria e Aronne verso la scelta di Mosè di sposare una donna Etiope e la punizione di Maria poi “graziata” per intercessione Mosè. In Numeri 26,59 è riportata la genealogia della famiglia. La madre, nata in Egitto,
generò ad Amram “Aronne, Mosè e Maria loro sorella
Abigail, La Prudente E Saggia.
Nel sesto riquadro incontriamo Davide facilmente identificabile per lo strumento a corde con cui sembra intonare i suoi Salmi. Alla sua destra un uomo con gli occhi volti verso il cielo: è Isaia. Lo riconosciamo per l’asta che tiene tra le mani che, vista da vicino, si rivela dentata. È la sega di legno con la quale, stando ad un’antica tradizione, il profeta fu martirizzato da Manasse117. A sinistra di Davide una figura femminile seduta su un trono di nuvole che l’avvolgono. Tiene sulle ginocchia un vassoio colmo di quelli che possono essere dei pani. Credo non ci si possa sbagliare identificandola con Abigail, moglie di Nabal.
Ancora una donna protagonista. Abigail che impedisce ad un grande re di farsi giustizia con le proprie mani. Davide non è ancora il re. Provocato dal marito di Abigail, il malvagio Na- bal, marcia contro di lui con i suoi uomini. Abigail viene a conoscenza del prossimo scontro e decide d’intercedere presso Davide, rinunciando a parlarne al marito. Corre incontro a Da- vide, si prostra con la faccia davanti a lui, offre i suoi cibi per i suoi uomini e impedisce lo spargimento di sangue ricordando a Davide che nel giorno in cui sarà fatto re, non sia d’angoscia o di rimorso al tuo cuore questa cosa: l’aver versato invano il sangue e l’aver fatto giustiza con la tua mano”. (1, Samuele 25,31).
La storia è ancora una volta nelle mani di una donna. Con la sua saggezza e capacità operativa (evitando impossibili discussioni con il marito, ma agendo) aiuta Davide a non farsi giustizia da solo, a non macchiarsi di sangue.
 
 
 
DEBORA, LA PROFETESSA.
Debora, un’altra donna da collegare a Giaele, raffigurata lì accanto, ma separata a sottolineare la centralità avuta anche verso Giaele.
Debora ordina a Barak di preparare l’esercito per attaccare Sisara e i suoi novecento carri da guerra. Barak accetta solo se la profetessa sarà al suo fianco. Debora promette, ma avvisa anche che in questo caso Sisara sarà messo nelle mani di una donna (Giudici, 4, 9 – 10). La donna sarà Giaele nella cui tenda Sisara troverà rifugio e poi anche la morte, come vedremo presentando Giaele raffigurata assieme a Giaele e Ester. La separazione di Debora da Giaele consente di accentuare la centralità di questa Madre d’Israele. Debora, Giudice e Profetessa, sedeva sotto la palma che è poi l’elemento iconografico che la contraddistingue. Debora è l’esempio di donna forte che ridona dignità ad Israele dopo il suo arrivo nella terra promessa.  
GIAELE (guerriera e politica?).
Giaele, ricalca un episodio simile a quello di Giuditta, descritto nel libro dei Giudici e coordinato dalla profetessa Debora che esaminiamo a parte.
Sisara, agli ordini del re di Canaan, muove contro Israele con un potente esercito. Debora, ispirata dal Signore, chiama Barak e lo mette a capo dell’esercito che marcerà contro Sisara. Barak tentenna e accetta di guidare l’esercito solo se Debora lo accompagnerà.
Debora accetta, ma avvisa Barak che il Signore metterà “Sisara nelle mani di una donna”. Barak sconfigge l’esercito di Sisara e i suoi carri da guerra, ma Sisara fugge e trova rifugio sotto la tenta di Giaele, il cui sposo era un suo alleato. Giaele gli offre ospitalità, ma poi mentre lui dorme, prese un picchetto della tenda, prese in mano il martello, venne pian piano a lui e gli conficcò il picchetto nella tempia, fino a farlo penetrare in terra. (Giudici 4,21).
GIUDITTA.
Ad essa l’onore di uccidere Oloferne, il potente generale di Nabuconodosor, e salvare il suo popolo che, ormai disperato, aveva posto un termine all’Onnipotente: ancora cinque giorni e poi la resa a Oloferne. Giuditta, mostrandosi sapiente, richiama gli anziani rilevando che non è in loro potere mettere alla prova il Signore. Mostrando un’assoluta fiducia nel Signore aspetta la salvezza che viene da lui che è anche padrone di non concederla. Usa infine il poco tempo “concesso” dagli uomini a Dio perché intervenga e salvi Israele dall’invasore, per mettere a punto un suo piano operativo per sconfiggere il potente esercito di Oloferne. Giuditta, bella d’aspetto e molto avvenente nella persona (Giuditta 8,17). La bellezza è intesa come la rifrazione esteriore di una bellezza più intima. Essa incarna anche la Sapienza, conosce e osserva la legge mosaica, dà una giusta interpretazione dei castighi: è a fine di correzione che il Signore castiga coloro che gli stanno vicino.
Una convinzione profonda risiede in Giuditta: essa sa che la salvezza del popolo dipende dalla fedeltà assoluta alla legge del Signore.
Poi la preghiera prima dell’azione. Giuditta è strumento di Dio come Mosè.
Come Miriam che, dopo il l’attraversamento del mar rosso, eleva un canto al Signore, anche Giuditta, quasi novella Miriam, dopo l’impresa prende in mano degli strumenti musicali e le distribuì alle donne che erano con lei.
Giuditta, pur essendo una donna ricca, è una vedova, ai margini della società del tempo. La sua debolezza, ricca solo di Dio, la rende capace di sconfiggere il potere.
              
   
   
   
           Il pittore, Giuseppe Milani, sembra aver assimilato il versetto che descrive l’aspetto fisico di Giuditta, donna “molto avvenente nella per- sona” e costruisce una delle figure più belle del ciclo. Perfetta anche nell’acconciatura dei capelli e nelle gioie che indossa che sembrano ricalcare quanto il libro sottolinea descrivendo la sua vestizione prima di andare incontro ad Oloferne.  

ESTER. (mediazione politica preparata dalla preghiera)
Ester, la terza donna della composizione, lavorerà anch’essa per la salvezza del Popolo, ma lo farà impetrando la grazia dal suo Re facendo emergere le prove di un raggiro perpetrato da cattivi consiglieri a danno del Re e del popolo ebreo. Anch’essa prima dell’azione si affida alla preghiera per trovare in essa il giusto equilibrio e poter così presentare al meglio la causa al re. Prima dell’azione la purificazione, quasi a sottolineare che l’azione è conseguenza di un cammino di fede. Tanto in Giuditta che in Ester, e ancora con Giaele, la vita di Israele dipende da una donna. Giuditta e Gialele assolvono il compito attraverso un’azione cruenta, Ester attraverso la preghiera e, in quest’atto, è stata vista una possibile prefigurazione di Maria. Al di là di queste interpretazioni resta fondamentale il ruolo riservato alla donna che, in vari modi dona la vita al suo popolo. Ora salvandolo dai nemici esterni, tal altra aiutando la vita dei suoi figli migliori.
Achior (?)
Il personaggio, apparentemente marginale nella storia di Giuditta, negli anni in cui Milani dipingeva la cupola godeva di un indiscusso prestigio grazie ad un oratorio di Pietro Metastasio musicato nel 1771 anche da Mozart (Betulla liberata), incentrato sulla storia di Giuditta e Oloferne. Oloferne non compare, ma i dettagli della decollazione sono raccontati da Giuditta. Deuteragonista della storia è Achior che, dopo l’impresa di Giuditta, si converte e inneggiando al Signore canta l’aria “Te solo adoro mente infinita, fonte di vita”.
principe Ammonita Achior, alleato di Oloferne, che su richiesta del condottiero, spiega che il popolo di Israele, se si è mantenuto fedele ai principi del suo Dio, è praticamente invincibi- le. Oloferne, sdegnato, lo caccia e lo mette nelle mani di Israele. Interrogato dagli israeliti espone le sue vicende e il suo racconto permetterà a Giuditta di elaborare la sua strategia per entrare nella tenda di Oloferne. Davanti alla vittoria di Giuditta che porta con se la testa di Oloferne, Achior si gettò ai piedi di Giuditta pieno di riverenza per la sua persona.  

RACHELE CON BENIAMINO.
              
   
   
Alla destra di Giacobbe un’altra figura maschile dall’aspetto giovanile e alla sua sinistra due donne e un bambino. Potrebbero essere le due sorelle
e sue mogli, Lia e Rachele. Tra queste primeggia la prima figura che tiene a se un fan ciullo in piedi. Dovrebbe essere Rachele con Beniamino, il fanciullo per la cui nascita sacrifica la propria vita. Il ragazzo alla destra di Giacobbe, a questo punto, non può che essere il primo figlio di Rachele: Giuseppe. Se questa è la lettura è evidente che la rappresentazione, sia pure introdotta da Giacobbe, ruota attorno a Rachele, mentre Lia, pure madre di molti figli di Giacobbe, sfuma tra le nuvole. Rachele che è vista da Geremia quale madre di tutto il popolo di Israele112, è donna amata da Giacobbe. Un amo- re che lo costringe a lavorare quattordici anni per il suo ri- scatto e, a differenza dei tan- ti matrimoni “contrattati”, è storia d’amore tra due giovani che si incontrano e si amano. Ma Rachele è sterile, a differenza di Lia, prima moglie di Giacobbe, avuta con l’inganno, che gli dona molti figli. E Rachele vive nell’attesa del dono della maternità e alla fine sarà madre di Giuseppe e poi muore partorendo il secondo figlio: Beniamino. Una “maternità dolorosa” simile a quella di Maria, l’Assunta. Così come simile a Maria è la sua riconosciuta maternità del popolo d’Israele, ricordata da Geremia. Anche quella della Vergine sarà maternità non solo del Cristo, ma di tutta la Chiesa.
Per Lia la maternità è naturale, per Rachele è un dono cercato e faticoso. Il dipinto, se è giusta la lettura proposta, è quasi una visione che mette in risalto la maternità di Rachele, ancora “viva” con stretto a sé il vispo Beniamino. Nuovamente l’attenzione si sposta dal personaggio in primo piano ad una donna che introduce il mistero della vita.  Uno schema che tornerà a rivivere nel riquadro successivo con raffigurato il “sacrificio di Isacco”.

RUT, la straniera.
Noè, Giosuè e Rut. La storia biblica comincia dall’arca, primo simbolo dell’alleanza tra Dio e gli uomini. Noè al centro e in alto; alla sua sinistra un personaggio in armi; alla sua destra una donna distesa sulle nubi che poggia il fianco su dei covoni di grano. In basso al centro un angelo che tiene in alto con la mano sinistra la falce e poggia la destra su delle spighe di grano.
Chiara l’immagine di Noé accanto all’arca su un alto monte nel momento in cui la colomba torna ad esso con il ramoscello d’ulivo. Intorno al tema dell’arca dell’alleanza, ora figurata in Noè si giustifica la figura dell’uomo in armi in basso a destra di chi guarda. Sullo scudo è raffigurato un sole. Possibile iconografia per Giosué il condottiero al quale Dio permise di rallentare il cammino del sole con la sua preghiera88. Questo il segno, ma la sua figura, in questo caso, è credo simbolo dell’uomo che fa passare l’arca dell’alleanza nella terra promessa. Ancora un riferimento al popolo in cammino mentre le acque del Giordano si aprono per consentire all’arca di attraversare il fiume. Dall’arca di Noè all’arca del Signore. Dunque, il possibile legame è nell’arca dell’alleanza, prefigurazione della nuova alleanza per raggiungere la quale occorrerà la fides di Maria, il sapersi fidare di Dio. In questa prospettiva trova giustificazione e diventa il punto di riferimento innovativo la figura femminile sulla sinistra. Giosuè è il condottiero fedele alla voce del Signore che gli parla, Dall’altro lato la figura femminile che poggia sopra le messi mature può essere identificata con Rut. La donna che non parla con il Signore, ma si fida del Signore e la cui fedeltà è vissuta in maniera operosa. La sua fiducia viene ricompensata.
La sua storia è quella di una sposa che vive con il marito lontana da Israele. Perduto il marito resta con la madre dello sposo condividendone la sorte e affidandosi al Signore. Torna così a casa della suocera, in Israele e qui acquista grazia agli occhi di Dio e è ben accolta da un suo lontano parente che la incontra mentre spigolava nei campi dietro ai mietitori. Torna a casa piena delle messi donate dal padrone che poi la sposa.
Essa mostra come il Signore volge il suo sguardo anche verso lo straniero accogliendolo in seno al suo popolo. La prima scena attraverso tre personaggi identificati per la loro iconografia, racconta il passaggio dalla fedeltà di un popolo alla fedeltà del singolo. Dalle guerre spesso cruente e sanguinarie di Giosuè, alla delicata storia di una donna che si fida di Dio, posta quale prosecuzione dell’alleanza. La prima arca, l’arca dell’alleanza traghettata da Giosuè, la Fiducia di chi ha creduto senza vedere e si è convertita grazie alla testimonianza della suocera e del marito. Un salto di qualità: dall’osservanza della legge che porta
in cambio la vittoria sui nemici, alla Fiducia nel Signore che porta la pace nel cuore di Rut. Con un procedimento che sperimenteremo altre volte in questo ciclo, il compimento della simbolica narrazione ha per protagonista una donna. Apparentemente un personaggio meno importante rispetto ai giganti come Noè e Giosuè, eppure in essa trova compimento il cammino della storia.
Al centro l’angelo che con la falce e le spighe riprende e accompagna il lavoro di Rut, sottolinea ulteriormente la centralità della figura femminile.
REBECCA E SARA.
Abramo e Isacco, in primo piano e con gli occhi volti al cielo, stupiti e grati, sono raffigurati nel momento in cui ascoltano la voce dell’angelo che sospende il sacrificio di Isacco richiesto da Dio. Non c’è ombra di dramma e lo stesso agnello sembra tranquillamente accovacciato su un fuoco che non brucia. Ma la scena si arricchisce di due figure femminili, in secondo piano, eppure portanti nell’economia della raffigurazione.
Proviamo ad identificare la prima, con in mano un bastone, segno di comando, con Sara, moglie di Abramo. Donna che con Abramo condivide tutta la vita e nella tarda età, quando a Sara era cessato ciò che avviene regolarmente alle donne114  per intervento di Dio avrà da Abramo il figlio Isacco. Sara non riesce a credere alla promessa di Dio. Il miracolo si compie non contro la volontà dell’uomo, ma contro ogni speranza umana. I tre uomini che appaiono davanti alla tenda di Abramo nell’ora più calda del giorno, riconosciuti da Abramo come messaggeri di Dio, “annunciano” la prossima nascita di un figlio. In Sara e nello stesso Abramo c’è diffidenza e incredulità, non c’è il fiat di Maria. Ma Dio mostra pazienza e conferma la promessa. L’altra donna è quasi certamente Rebecca, la sposa di Isacco. Di fatto quando Isacco sposerà Rebecca Sara è già morta. Rebecca che in tre passaggi successivi del testo biblico è presentata come Vergine, sposa e madre. Anche Rebecca è sterile, come Sara, e anch’essa ottiene da Dio il dono della maternità. Rebecca avrà due figli Esaù e Giacobbe. È nota la storia tra Esaù e Giacobbe per la primogenitura e il ruolo avuto da Rebecca nel favorire Giacobbe, raffigurato nel precedente riquadro che rincontrerà poi Esaù ricomponendo l’unità della famiglia. Essa rappresenta la continuità femminile. Non a caso Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara e Isacco trovò conforto dopo la morte della madre. Questa continuità è ben espressa dall’incontro – mai avvenuto - tra le due donne. Come se fosse Sara a presentare il figlio a Rebecca indicandolo con la mano e rendendo così visibile un legame già rilevato dal Testo Sacro quando Isacco, introducendo Rebecca nella tenda che era stata di Sara, di fatto la insedia al suo posto.
Due donne trasmettono la vita in modo straordinario per intervento di Dio che agisce sulla loro sterilità e, nel caso di Sara, con un “annuncio” che ha fatto ricordare quello testimoniato nel vangelo di Luca. Si fronteggiano due rappresentazioni che incarnano altrettanti valori: da un lato l’obbedienza di Abramo e dall’altro il dono di Dio a Sara e Rebecca. Sara raffigurata con in mano quello che sembra il bastone del comando che sarà ceduto a Rebecca nel momento in cui, rallegrando Isacco, prenderà il posto della Madre occupandone la tenda.
franco.faranda@gmail.com

Torna ai contenuti