la maniera greca - La Croce dipinta nel XIII secolo

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la maniera greca

Il XIII secolo

Se Sant'Agostino può costituire l'antefatto teorico ad un modello iconografico le cui persistenze troviamo ancora, vive e vitali, nel corso del XII secolo, dobbiamo chiederci per quale motivo fin dall'inizio del secolo successivo il modello si evolve, probabilmente dapprima in maniera timida, come fa supporre la disposizione dell'Abate Suger e poi sempre più profondamente fino a ritrovare adulto, negli anni trenta del secolo, un nuovo modello di crocifissione con il Cristo raffigurato con il capo reclinato sulla spalla, gli occhi semi chiusi, poi chiusi, le labbra appena dischiuse, il corpo inverosimilmente arcuato nella positura che siamo soliti chiamare "curva bizantina" e che toglie comunque ogni parvenza di realismo rappresentativo alla nuova immagine.
Il modello è ampiamente documentato nell'oriente cristiano già nei secoli X e XI e benché sia da immaginare che particolari condizioni storiche possano averne accelerato l'introduzione in Italia, resta da chiedersi perché per più di un secolo la cultura figurativa italiana sembra del tutto impermeabile al nuovo modello di Cristo sofferente che in qualche modo prelude all'abbandono della morte.

Proprio come volle Suger nelle sue disposizioni, dapprima ritroviamo sottili variazioni nel classico modello del Cristo giudice che si rinnova reclinando il capo e flettendo morbidamente le braccia, ma mantenendo il corpo eretto e fermo sul suppedaneo, mentre sui tabelloni laterali continua a svolgersi il racconto della passione.

Progressivamente Il corpo si inarca sulla schiena assumendo la postura che gli storici dell'arte chiamano "curva bizantina" a sottolineare l'origine orientale del modello. Non è un'immagine realistica e lo testimoniano le mani del tutto aperte, le ginocchia non flesse e numerosi altri interessanti particolari. Contemporaneamente spariscono le "storie" della passione sul tabellone laterale quasi a obbligare il credente a incontrare la figura del Cristo privata da tutto ciò che possa distrarre dal grande mistero rappresentato. A differenza di quanto accade in oriente, in Italia il passaggio tra i due modelli è repentino e probabilmente dovuto, ipotizza la Vavalà, ad un fenomeno imitativo.

Il modello era certamente noto in Italia, ma non accettato al punto da rientrare tra le "eresie" contestate dai cattolici romani alla Chiesa orientale che porteranno allo scisma del 1054. Nella bolla di scomunica posta sull'altare di Santa Sofia, il Cardinale Umberto di Silvacandida, legato papale a Costantinopoli, tra le altre più rilevanti contestazioni teologiche, ricusa anche l'immagine dell'Hominis morituri  definendola un'eresia . In questo momento, è la Chiesa di Roma ad ergersi a difesa della tradizione, non accettando la rivoluzionaria innovazione che veniva dall'oriente. Dopo circa 150 anni, con l'inizio del XIII secolo, il nuovo modello comincia a circolare anche in Italia imponendosi su tutti gli altri nell'arco di un cinquantennio.

Questa trasformazione oltre ad essere molto rapida avviene in un momento così ricco di eventi culturali da indurre a capire meglio le motivazioni che hanno portato all'accettazione di un nuovo modello iconografico. Si potrebbe ipotizzare che il nuovo modello pur proponendo uno schema già conosciuto in oriente, lo accetti perché lo rielabora attraverso un'autonoma maturazione e una rinnovata riflessione teologica che adesso impone una nuova formula iconografica così come aveva giustificato la precedente.

mentre si diffonde la nuova iconografia cresce la riflessione teologica e la devozione verso l'Eucaristia. C'è da chiedersi se questa nuova figura di Cristo dalla caratteristica "curva bizantina" non sia incardinata in questa innovativa "adorazione eucaristica" proposta alla devozione, in Italia, da san Francesco e che sarà interpretata liturgicamente da san Tommaso.


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