Proprio nell'esposizione del Museo Civico, Massimo Medica tenta una lettura dell'opera sottolineando il rapporto emotivo tra spettatore e immagine vista come "affettuosa e familiare" anche se la ricchezza decorativa dell'insieme potrebbe indicare l'importanza della destinazione. La presenza delle due Sante si potrebbe collegare ad una devozione privata di un personaggio femminile. Né si può escludere sua appartenenza ad una comunità religiosa. Tante ipotesi, tutte possibili, ma nessuna, al momento, più rilevante di altre. Non abbiamo particolari indizi né a favore della destinazione né per l'identificazione con Agnese della Santa dietro la Madonna.
Non si tratta certo di un oggetto "economico", ma comunque di un "lusso" alla portata dei ceti borghesi, dei prelati - non necessariamente di alto livello - della nobiltà in genere. Un oggetto di devozione possibile a tanti dal momento che non saranno stati in pochi a sentire propria una Madonna dalle vesti ricche, ma che nell'atteggiamento discorsivo è per tutti. Quanto al tipo di "Madonna dell'Umiltà" forse è un'esagerazione. Qui la Madonna, è seduta su un basso sedile e non per terra. Un sedile foderato da un ricco drappo che avvolge lo schienale ricadendo sul retro. Non è certo a "umiltà" intesa quale sinonimo di povertà che fa pensare una tale immagine che sottolinea, anche con le vesti, l'appartenenza della "Madonna" ad un ceto che in terra non può che essere sinonimo di aristocrazia terriera o nobiliare. Del resto un tale modello di riferimento è accettato da tutti. La nobil donna del castello o del palazzo nobiliare indossa abiti simili e assomiglia ad una Madonna anche nel sentimento popolare. qui comunque - ed è questa una caratteristica tutta vitalesca - la veste non costituisce una barriera né lo è lo sfarzoso drappo rosso intessuto di fili d'oro che ricopre il sedile. Tutto si umanizza nel "gioco", nello scherzoso atteggiamento affettuoso che ha la madre verso il figlio. Qui non ci sono le intermediazioni di fantesche e nutrici, ma il rapporto è diretto e gioioso. il gruppo è colto, come in un'istantanea, nell'intimità di una stanza, lontani da sguardi indiscreti, ove l'etichetta poteva cedere agli affetti, alla tenerezza di una Madre che incontra il figlio non più preoccupata per la premonizione e la consapevolezza di una morte crudele e nemmeno caricata dal peso di una missione impossibile agli uomini: "essere più grande dei cieli" dal momento che nel suo grembo ha portato colui che domina i cieli. Il colloquio è personale e non c'è nemmeno il vago sentore di una tessitura per il velo del tempio destinato a squarciarsi con la morte del figlio. qui i rocchetti sono rocchetti poggiati sopra un porta rocchetti quasi fuori posto nello sfarzo dell'insieme. Il gesto resta affettuoso ed è il trionfo della "quotidiana maternità" che piace ricordare ora che si è appena concluso il periodo del Natale. Un gioco sereno tra madre e figlio ancora più dirompente e significativo, rivoluzionario direi, perché se è vero che siedono su un ricco drappo steso sopra un realissimo sedile e il pota rocchetti è un oggetto comune e certamente tratto dalla realtà, è altrettanto vero che l'amorevole realissimo incontro è proiettato in uno spazio a-temporale immerso nell'oro di un metafisico ambiente dal quale emergono silenziose e assistono a questo momento di giocoso incontro tra Madre e Figlio, ma anche mater Ecclesiae e Dio, due Sante che ci introducono ulteriormente in spazi non solo umani. Due Sante che hanno preso il posto delle fantesche che mai avrebbero lasciata sola una mamma di alto lignaggio. La loro presenza è però silenziosa, non partecipano al sacro e umanissimo incontro, assistono, e il loro appiombo è altra significativa nota a contrasto con il veloce movimento colto tra Madre e il vispo bambino. La rotazione impressa al busto che improvvisamente si gira verso il figlio, sembra trascinare e muovere il drappo che copre il sedile e accentua il già precario equilibrio de libro poggiato sul sottile bracciolo e sporge pericolosamente verso l'esterno.