il volto della Madre di Dio - Madonna di san Luca

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il volto della Madre di Dio

Teotokos
storia della manutenzione
Il volto, assieme alla mano che indica, è il punto di riferimento più significativo dell’Icona. Del resto l’immagine, costantemente rivestita da una copertura in argento, rende visibili soltanto i volti della Madre e del Figlio. Il confronto con le radiografie e le altre indagini non invasive hanno consentito il recupero di numerose informazioni. Dalla stratigrafia eseguita sul maphorion (il mantello) abbiamo potuto distinguere almeno sei livelli di pittura raggruppati in due momenti diversi, entrambi molto antichi. Evidentemente non sono state fatte stratigrafie sulla pittura del volto perché comportato un prelievo di pittura, dunque una “distruzione” di un frammento, sia pure microscopico, di colore. Procedendo nella pulitura abbiamo però potuto costatare che sotto il fissativo di superficie, quello che nella stratigrafia corrisponde al sesto livello, sul volto è emersa una pittura sostanzialmente integra a parte i vistosi ammanchi sulla guancia destra della Madre di Dio e altre ben delimitate mancanze sulla stessa guancia e sotto l’occhio destro. La grande lacuna sulla guancia è molto antica ed era già presente nel 1898, quando è documentato un intervento di consolidamento della tavola che però – come dice la relazione – non ha toccato la pittura. L’immagine accanto, ricavata da una lastra custodita nella Basilica, documenta lo stato dell’icona dopo il restauro del 1898. Infatti, la foto – certamente eseguita molto dopo, negli anni 50 del XX secolo – mostra il sigillo dell’Arcivescovo Svampa, il Cardinale che ha autorizzato il restauro del 1898. Dunque la foto fissa lo stato di conservazione dopo quel restauro. È evidente il grande stucco che interessa la guancia destra, parte del collo e trasborda sulla mitella e il maphorion già ritoccato e reso scuro da un vecchio fissativo che interessa l’intera immagine. la parte inferiore dell’Icona è ricoperta da un panno molto probabilmente per nascondere la vasta lacuna che interessa quest’area e che sarà stata colmata in un momento successivo. La foto documenta pure che nel restauro del 1898 non è stato effettuato alcun intervento sulla pittura, ma – come riporta la relazione di quell’intervento – ci si è limitati al consolidamento e ricostruzione delle tre tavole che compongono il supporto. Lo prova la fenditura a vista che attraversa verticalmente il maphorion sul fianco della Vergine che in un intervento successivo è stato invece stuccato e così ci è pervenuto.
pulitura del volto
Prima di rimuovere il fissativo dal volto si è proceduto a toglierlo dal fondo bugnato e si è proseguito con la pulitura del maphorion che, liberato dal tono giallastro del fissativo e dagli ulteriori sottostanti ritocchi, rivelava la sottostante brillante cromia che, in alcuni punti (ad esempio sul petto, dietro la mano che indica) recuperava un’inaspettata intensità e valore simbolico che tornerà particolarmente utile per lo studio dell’Icona. solo dopo aver testato i materiali si è cominciato a riscoprire il volto della Madre di Dio, liberandolo dal fissativo e rimuovendo i più recenti ritocchi sugli stucchi (probabilmente dati un’ultima volta nel 1955) onde poterli meglio osservare e delimitare. Nelle immagini che seguono mostreremo le varie fasi della scopertura.
I gesti della Madre
la mano che indica
Il “gesto”, cioè a dire il modo di muovere le mani della Vergine e del Cristo contraddistinguono questa particolare immagine della Teotokos conosciuta come Vergine Odighitria: che indica la via. La via è il Cristo “rivelato” all’umanità dalla Madre.
Nella nostra icona questo gesto assume un particolare interesse iconografico per la sua originalità. Diversamente da quanto accade nella maggior parte delle icone di analogo soggetto, la nostra immagine si distingue per una mano che indica molto grande e posta in una posizione poco inclinata rispetto al modello usuale che vede un’inclinazione della mano verso l’alto, volta al petto del Cristo. Una particolarità iconografica che potrebbe anche derivare da modelli di riferimento desueti, piuttosto antichi, come la Vergine del monastero di Santa Caterina sul Sinai che presenta un’analoga inclinazione della mano che indica

la lingua dei segni
la mano parlante di Maria è giustapposta visivamente alla mano parlante del Cristo, a formare un primo paio di mani

[Bissera V. PENTCHEVA, Icone e Potere. La Madre di Dio a Bisanzio, Milano 2010, p. 200.] 

Così la studiosa commenta l’immagine di Ohrid.  Il motivo è ancora più accentuato nell’icona bolognese per la grandiosità del gesto che fa della mano della Theotokos l’elemento trainante al pari del braccio del Cristo che attraversa maestoso l’intero busto della Madre. 
origine del "modello" iconografico
Il modello è conosciuto come “colei che indica la via” (in greco odigitria, guida, colei che ci guida). Sembra che l’immagine mutui il nome dal monastero dove venne custodita dopo il suo arrivo a Costantinopoli. Il santuario preesisteva all’immagine ed era retto da monaci, presso una sorgente, dove la Madonna operava già molti miracoli, specialmente a favore dei ciechi. (Georges GHARIB, Le icone mariane. Storia e Culto, Roma 1987, pp. 37-39.)
I monaci facevano da guida, per cui il luogo era detto “delle guide” e la Madonna finì per assumere anch’essa il ruolo di “guida”. Odigitria e anche condottiera, con una connotazione militare presso gli imperatori “romani”.
Sembrerebbe comunque che l’appellativo di “guida” transiti dal monastero all’icona, ed essendo preesistente all’icona potrebbe anche far supporre che il monastero e la sua attività possa aver dato origine a un culto e a un’iconografia originale. Il monastero è documentato dalla metà del secolo IX. Ma esisteva già una cappella nei pressi della fonte nota per aver ridato la vista ai ciechi. Alla metà del secolo questo primo nucleo si amplia e cresce il culto presso il monastero che “guida”.
Qual era l’iconografia di questa immagine ce lo rivela un’icona proveniente dalla chiesa della Vergine Peribleptos a Ohrid, in Macedonia. Sul rivestimento argento del fondo è riportato il nome Hodegetria che ne fa un sicuro modello per quanto riguarda il riferimento all’originale custodito nel santuario dell’Hodegon . Un modello, che la Pentcheva considera il più antico tra quelli pervenuti, è custodito nel monastero di Santa Caterina sul Monte Sinai ed è datato dalla studiosa al IX secolo. Da osservare, confrontando i due modelli, l’evolversi della rappresentazione: dalla frontalità totale dell’icona del Monte Sinai, a un’immagine più volumetrica, alla ricerca di una tridimensionalità in qualche modo accennata nell’icona di Ohrid e molto più evoluta, ricca di emozioni e di valori religiosi nell’icona bolognese. Le due opere ricordate dalla Penthcheva aprono la strada ad una serie di inevitabili confronti per l’identità e la trasformazione del modello.

Le mani del Figlio
la lingua dei segni
Il Cristo solenne, adulto e dallo sguardo maturo e imperioso, guarda lontano, è soprattutto maestoso e regale. Con lo sguardo volto verso l’infinito, governa attraverso la legge che regge saldamente nella mano sinistra. Benedice maestosamente, secondo giustizia  (la legge).

Il Cristo volge lo sguardo verso l’infinito entro cui vive l’umanità. Se la Vergine rivolge lo sguardo verso il singolo uomo, Cristo tutti ricomprende nel gesto benedicente destinato a raggiungere tutti coloro che si sono riconosciuti nella verità rivelata e scritta sul rotolo che stringe con la mano sinistra. 
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