La prima chiesa e la sua committente
Torniamo però al maggio del 1194 e proviamo ad accostarci ad Angelica e alla sua famiglia per evidenziare una vocazione rimasta celata dagli stessi documenti, tutti incentrati su una lunga disputa con i canonici di Santa Maria di Reno per l’amministrazione dei beni legati al monastero.
I canonici erano stati coinvolti in questa esperienza di vita dalla stessa Angelica per l’assistenza spirituale della nascente comunità eremitica sul Monte della Guardia. Non era del tutto inusuale assistere alla nascita di eremi retti da eremite “irregolari”, cioè non collegate a una delle regole di vita religiosa riconosciute. Più che una contestazione dell’esistente, c’è il desiderio del tutto personale di vivere una ricca esperienza di fede fuori da schemi costituiti, che in alcuni casi diventa innovativa e dirompente, ma che il più delle volte va avanti serenamente con l’assistenza di chierici che vigilano sulla vita spirituale dell’eremo. Sono anni fervorosi che non sempre emergono nella loro quotidianità e diffusione anche perché oscurati da altre analoghe esperienze di vita che stanno per nascere. Non dimentichiamo infatti che gli stessi pontefici che dovranno occuparsi delle dispute sorte tra Angelica e i canonici renani, da Onorio III a Gregorio IX, debbono governare il fenomeno ben altrimenti complesso di Francesco d’Assisi e Chiara. Altri giovani – a dire il vero non conosciamo l’età di Angelica, ma visto che muore intorno al 1244, non doveva certo aver superato di molto i vent’anni quando fece la sua scelta di vita eremitica – e altre scelte di vita radicali. Tra le similitudini, l’appartenenza a famiglie benestanti e nel caso di Chiara tra i maggiorenti di Assisi. Angelica però si trova accanto la famiglia nella sua scelta di vita che sarà invece ostacolata violentemente dal padre di Francesco e dalla famiglia di Chiara, anche se infine la madre e le sorelle di quest’ultima vivranno con lei la stessa radicalità evangelica in San Damiano.
Anche la vocazione di Angelica è radicale, ma equilibrata per quanto può esserlo una scelta così particolare. Il luogo in cui insediarsi non è troppo lontano dalla città, né è selvoso e inospitale come siamo abituati a leggere nelle leggende dei santi. Del resto per Angelica – per cui nessuno ha ricercato una possibile santità – le informazioni non le ricaviamo da amici che scrivono appassionate biografie, ma da documenti notarili e da dispute giuridiche per il possesso delle terre dell’eremo. Dati freddi, ma anche obiettivi, attraverso i quali possiamo ricostruire uno spaccato di vita senza purtroppo poter carpire le motivazioni più profonde di Angelica. Dai documenti si delinea però una famiglia unita che condivide e aiuta la scelta della figlia.
La donna agisce in sintonia con i genitori e soprattutto con la madre Bologna, che evidentemente condivide l’ideale di vita che si delinea e che sarà stato a lungo discusso a casa e con l’assistenza degli stessi canonici scelti come guida spirituale e custodi del patrimonio materiale. Il seguito della storia vedrà contrapposta la ricerca di autonomia e di indipendenza di Angelica nella gestione del patrimonio, ma anche nel modello di vita eremitica, e gli interessi dei canonici che vedono intaccata una possibile forma di utile per il lavoro che svolgono. È una storia che fa sparire l’ideale di vita eremitica di Angelica che verrà sempre difesa dai pontefici ai quali si rivolge più volte e anche direttamente. È anche questo il segno di un’autonomia al femminile alle volte contrastata dall’autorità costituita che, però, nel caso di Angelica ne affianca l’azione e difende gli ideali.
Non possiamo penetrare più a fondo questa esperienza di fede, e se continuassimo nella lettura del lungo carteggio che vede i contrapposti interessi dei canonici e di Angelica, perderemmo del tutto il senso della ricerca di spiritualità che certamente ha animato Angelica e la sua famiglia. Ci fermiamo qui evidenziando che sul Monte della Guardia, sul finire del XII secolo, nasce un luogo di culto per volontà di Angelica, una laica bolognese, e della sua famiglia. Un luogo dedicato alla Madre di Dio che fin dal 1228 – ma evidentemente anche prima – era raffigurata anche sul sigillo dell’eremo come una Madre con in braccio il Bambino.
La prolungata osservazione dell’icona della Madonna del Monte di Bologna, durante una manutenzione straordinaria effettuata nel maggio del 2011, ha confermato un’impressione nota e sperimentata da quanti si avvicinano all’immagine salendo dalla scalinata che da destra immette all’altare della Theotokos, percorrono lo spazio davanti all’immagine e scendono dal lato opposto. Molti si sentono guardati costantemente dalla Madre di Dio che comunemente è celata da un pannello in argento e mostra soltanto il proprio volto e quello del Figlio. L’effetto, lungi dall’essere una suggestione, è invece probabilmente voluto e causato dal leggero strabismo delle sue pupille, ben osservabile da vicino. Allo stesso modo la tempera a uovo offre una particolare rifrazione alla luce, animando l’icona e rendendola sempre nuova perché interagisce con fenomeni naturali come il variare della luce e soprattutto con la disponibilità umana di quanti vi si accostano. Non siamo infatti in un museo e le aspettative e le attenzioni di quanti salgono la scalinata che porta all’icona prescindono da considerazioni stilistiche e culturali e affondano nelle istanze misteriose, ma non meno reali, della fede espressa attraverso la devozione.