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Il nodo presenta una leggera sagomatura centrale in un altro calice di San Giacomo, sottolineata anche dalla lucidatura a specchio contrapposta alla restante lamina del nodo che, in alto e in basso, è lavorata a sbalzo. Tra fitti motivi floreali emergono puttini che ritroveremo sbalzati sulla faccia del piede circolare e sul sottocoppa.
Roversi (3) lo cita tra i più bei calici della Chiesa e lo collega a quello citato dall'Oretti come "finissimo ... d'argento con bassi rilievi ornati con foglie gentili e testine d'angioli travagliati in cisello" (4) eseguito dall'argentiere Carlo Mangini nel 1573. Al contempo però riconosce che non è possibile escludere che esso sia uno dei sei "di molto elegante fattura" eseguiti, seguendo sempre l'Oretti, dall'argentiere Giovanni Battista dal Gambaro nel 1597.
Possiamo ulteriormente chiarire le ipotesi di Roversi sull'autore dell'opera grazie alla lettura del punzone, esaminato per la prima volta in preparazione di questo incontro, e che è posto sulla lamina esterna del rovescio del piede, costituito da due marchi di difficile leggibilità.
Ciò nonostante per il primo è riconoscibile la figura del leone rampante che contraddistingue la zecca di Bologna e il secondo, più difficile da interpretare, sembrerebbe comunque quello dell'assaggiatore della zecca Carlo Viscardi. Se così fosse i due punzoni non indicano l'autore dell'opera, ma la provenienza bolognese del pezzo e il merco dell'assaggiatore, cioè a dire dell'argentiere addetto a vidimare i pezzi garantendone la qualità dell'argento.
Quanto ai riferimenti dell'Oretti e al tentativo di Roversi di identificare l'opera o con Carlo Mangini o con Giovanni Battista Gambaro occorre dire che per il primo, la data 1575 sembrerebbe troppo anticipata per i motivi stilistici del calice. Quanto a Gambari, la nota dell'Oretti indica anche una data d'esecuzione: il 1597. Ma sappiamo dai documenti pubblicati da Bulgari, che Giovanni Battista Gambari muore nel 1590.
In ogni caso i motivi stilistici del calice: il piede circolare, basso, lavorato a sbalzo con fitti motivi floreali, il caratteristico nodo a pigna, appena svasato e delimitato, in basso e in alto, dalle gole che lo raccordano al piede e alla coppa, e la lamina del sottocoppa realizzata in un unica lastra d'argento, ricca di fitti motivi floreali, appartengono soprattutto agli inizi del XVII secolo. Si tratta di modelli diffusi piuttosto comuni. Li ritroveremo, ad esempio, su un calice del museo diocesano di Imola datato 1610 (5), su un altro calice a Brisighella eseguito intorno al 1611 e così via. A questo punto basterà ricordare che l'assaggiatore Viscardi, di cui pensiamo di poter identificare il bollo punzonato sul nostro calice, assume l'incarico nel 1616. una data particolarmente pertinente per collocare cronologicamente la nostra opera che resta al momento di anonimo argentiere bolognese alla "moda", che fa sfoggio di alta tecnica soprattutto nella lavorazione del sottocoppa la cui lamina è molto tirata, ma non presenta rotture o altri difetti di lavorazione.
Un orafo bolognese anche culturalmente. I serti floreali che legano sul sottocoppa le testine di putto appartengono ad un repertorio figurativo molto noto in città. Interpretato magistralmente dai Carracci nel vicino Salone di palazzo Magnani, è però ripetuto da anonimi stuccatori che decorano le sovrapporte del palazzo e proviene da una lunga tradizione bolognese testimoniata anche nel vicino palazzo Poggi.
Il nodo può essere considerato il motivo guida per la cronologia di questa tipologia di calici. Tenderà a svasare fino a diventare, al centro, estremamente sottile continuando ad evolversi lungo tutto il XVII e XVIII secolo.