San Giuseppe, patrono dei falegnami
il baldacchino della peste > Laterale sinistro
San Giuseppe
A sant’Eligio segue la bandinella con la figura di san
Giuseppe, patrono dei falegnami.
Un uomo
tra gli uomini, a suo agio nella laboriosa bottega, con lo sguardo in alto a
chiedere tregua e una mano sugli strumenti di lavoro che i suoi protetti hanno
così ben adoperato nei mesi del grande flagello. La seta sdrucita sul volto ha
costretto a velinare per intero l’area, consentendo comunque di apprezzare il
sapiente tocco del colore che ha tinto la seta con sfumature che ombreggiano e
danno profondità al viso estatico e alla mano aperta nel gesto solenne della
compassione. Si contrappone all’estasi il pugno stretto attorno alla sega che
riporta il santo tra gli uomini. Ancora una volta è il colore sfumato sulla
seta, appena un’ombra, a inverare la mano e a far percepire la fatica nello
stringere realisticamente lo strumento di lavoro. Virtuosismi che fanno del pittore
un comprimario di chi ha tessuto sul velluto la seta dipinta qui riportata e che
è stata poi rifinita con ulteriori punti “pittura”.
I FALEGNAMI
Artigiani
di somma utilità durante la peste. A loro si deve l’allestimento del nuovo
lazzaretto, a loro si ricorse per i tanti lavori di quotidiana emergenza come
chiudere le case infette, sprangare le finestre, allestire e riparare carri e
barelle per trasportare morti e ammalati. In particolare, infuriando la peste e
risultando insufficienti i posti disponibili nei lazzaretti, un bando del 12
agosto ordina la costruzione di un nuovo lazzaretto e dispone che “niun muratore, ò falegname lavori altrove,
che al nuovo lazaretto fuori di porta s. Vitale”,[1]
sospendendo ogni altro lavoro fino a compimento della fabbrica. Il 19 marzo “La Compagnia de’ falegnami fa la festa alla
sua residenza nelle Cimarie, dove si vede lo Sposalizio di S. Gioseffo, in
pittura d’Oratio Samachini, e visita la sua cappella di S. Gioseffo nella chiesa
de’ mendicanti à porta S. Vitale; fa per impresa una Dolatura, ordegno di
ferro, con il manico di legno, usato da falegnami”[2].
[1] Raccolta di tutti li Bandi, Ordini, e
Provisioni Fatte per la città di Bologna in tempo di Contagio imminente, e
Presente, li anni 1628. 1629. 1630 & 1631. In Bologna per Girolamo
Donini Stampatore Camerale MDCXXXI, pp. 127-128. Il fondamentale ruolo dei
falegnami durante la peste è sottolineato tanto da Luigi da Gatteo, op. cit.,
che da Antonio Brighetti, autore di un altro importante contributo sulla peste
vista soprattutto dal punto di vista sanitario. Cfr. Antonio Brighetti, Bologna e la peste del 1630, Aulo Gaggi
editore, Bologna 1968.
[2] Antonio di Paolo Masini, Bologna
Perlustrata, Bologna
ed. MDCLXVI p. 257. Recentemente è stato osservato che a differenza di
quanto sostiene Guidicini, la chiesa dove i falegnami si riunivano per le
proprie funzioni religiose era ubicata presso il borgo di Galliera, all'interno del quartiere
di porta Stiera. Cfr. la tesi di dottorato di Elisa Erioli, Falegnami e Muratori a Bologna nel Medioevo.
Statuti e Matricole (1248 – 1377), Università degli Studi di Bologna, anno
2010, p. 123. Con i riferimenti documentari agli statuti che indicano la sede.
È però da notare che Guidicini riporta una notizia che è del Masini (1666) che
indica luoghi ancora vivi e vitali. C’è pertanto da supporre che quella
indicata dagli statuti del XIV secolo fosse una prima sede, ma che, almeno nel
XVII secolo, la sede fosse quella indicata da Masini e sulla quale poi indaga
Guidicini.
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